Le «Note Giuste» possono aiutare i bimbi con spettro autistico
Un’esperienza italiana spiega in quale misura la musicoterapia può aprire una comunicazione
La musicoterapia può aiutare i pazienti con un disturbo dello spettro autistico a stare meglio, a calmarsi, a volte anche a trovare un modo per esprimersi. Tanti vantaggi, ma non si possono sperare miracoli: lo sottolineano gli esperti che il 4 novembre, in un convegno presso l’Irccs Stella Maris di Calambrone (Pisa), discuteranno la relazione fra note e linguaggio presentando i risultati di TIME-A, un progetto internazionale di ricerca su musicoterapia e autismo che per l’Italia è stato coordinato da Filippo Muratori, direttore dell’unità di Psichiatria dello Sviluppo della Stella Maris.
Alcuni dati sono stati pubblicati di recente su Jama (Journal of American Medical Association) e a prima vista possono sembrare negativi: gli effetti della musicoterapia sulla gravità dei sintomi di autismo, misurati con una specifica scala, non sono infatti risultati significativi.
Sarebbe però stato quasi strano il contrario secondo gli autori, visto che in media i piccoli coinvolti, poco meno di 400 bimbi dai 4 ai 7 anni, hanno partecipato a 19 sedute di musicoterapia. «Con circa 20 sedute non si può incidere sui sintomi dell’autismo — spiega Ferdinando Suvini, co-referente del progetto TIME-A —. Piuttosto, a essere interessanti sono altri dati raccolti grazie al progetto: bambini e famiglie sono entusiasti di partecipare alle sedute, hanno un forte coinvolgimento e una grande motivazione. Elementi non secondari per migliorare il benessere di pazienti e genitori, perché impegnare un bambino autistico in un’attività è già un primo passo importante».
Le sedute proposte erano di musicoterapia improvvisativa, ovvero sessioni in cui la musica viene “creata” in maniera spontanea e interattiva assieme al musicoterapeuta: i momenti di sincronia, sintonia e condivisione che si sperimentano possono essere terapeutici per il paziente e soprattutto possono favorire la comunicazione.
Sotto questo punto di vista i risultati sono incoraggianti: la motivazione sociale dei piccoli partecipanti al TIME-A è aumentata mentre sono diminuiti i movimenti stereotipati e ripetitivi tipici di questi bimbi. «È migliorata la regolazione delle esperienze emotive, premessa di ogni abilità di interazione sociale — interviene Muratori —. L’effetto è risultato più evidente quando è stato possibile improvvisare brevi brani musicali, indice di una migliore “sintonizzazione affettiva” fra terapeuta e bambino. Le persone con autismo hanno una particolare predisposizione musicale, perciò la ricerca deve continuare».
«La musicoterapia va però inserita in un contesto terapeutico ampio, il musicoterapeuta deve lavorare in un’equipe — aggiunge Suvini —. Inoltre va modulata in tempi e modi, a seconda delle risorse di ciascun paziente: alcuni bimbi non parlano affatto ma hanno buone competenze comunicative, altri hanno un discreto linguaggio e deficit di comunicazione, il percorso terapeutico non può essere uguale per tutti. Non solo, il lavoro va condiviso con la famiglia: il coinvolgimento dei genitori è essenziale perché i risultati della musicoterapia possano essere trasferiti con successo nella vita di tutti i giorni».
Vietato credere ai prodigi, quindi, ma le note possono essere una possibile “chiave” per entrare nel mondo degli autistici, come mostrano anche gli studi del neonatologo Claudio De Felice dell’università di Siena su bimbe con sindrome di Rett, un grave disturbo dello spettro autistico su base genetica che colpisce quasi solo le femmine.
De Felice ha dimostrato che l’ascolto di una voce cosiddetta “violino”, rilassante e non “dura”, aumenta l’ossigenazione del sangue riducendo la frequenza cardiaca e lo stress ossidativo tipico della sindrome, ma soprattutto aiuta le bimbe a creare un ponte verso il mondo, per quanto fragile e temporaneo. «Di solito queste piccole non parlano né comunicano, con il canto si rilassano e accennano sorrisi e vocalizzi — racconta De Felice —. Aumenta l’attenzione e scompaiono i movimenti tipici ripetuti. Succede anche in altre forme di autismo, ma occorre una melodia con determinati intervalli fra le note e sono più efficaci i brani cantati, meglio se dal vivo». Anche una recente revisione degli studi in tema di musicoterapia della Cochrane Collaboration , ente di ricerca indipendente, ha dimostrato che suono e musica possono aiutare i bimbi autistici migliorando la comunicazione verbale e non, favorendo un contatto emotivo, aumentando le capacità di adattamento sociale e facilitando la relazione coi genitori, a patto che il musicoterapeuta sia esperto, abbia una formazione seria e proponga un percorso adeguato.
«L’obiettivo non è “guarire” dall’autismo, ma aprire nuove forme di comunicazione. Servono tempi di intervento lunghi, ma la stretta relazione fra musica e linguaggio è ormai indubitabile e nessuno nega che la musica possa quindi fare da “tramite” per comunicare con chi ha difficoltà a farlo», conclude Suvini.